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DANTE PISANI
L'artista, l'arte, l'uomo
L'inquietudine del presente nell'opera pittorica e scultorea di
Dante Pisani.
Un intellettuale che ripensa continuamente al proprio itinerario
esistenziale e umano dimostra anche la vivacità del suo
stare nel mondo, a contatto con gli accadimenti dell'attualità;
Dante Pisani è consapevole di ciò, soprattutto quando,
nel silenzio del suo studio al centro di Trieste, può dominare
con lo sguardo gran parte della città, oppure ritrarsi
in una condizione di assoluto distacco per dare forma alle sue
idee sul piano o nello spazio. Dalla mostra personale del 1959
presso la Sala Comunale d'Arte di Muggia (la città dove
è nato nel 1924) fino ad oggi ha dimostrato, con i fatti
probanti di una ricerca rigorosa e sentita, come una personalità,
colta e attenta di fronte alle seduzioni del mondo e ai suggerimenti
del panorama artistico italiano e internazionale, possa mantenersi
incontaminata da suggestioni e ripiegarsi unicamente in se stessa
per esaltare col potere del segno, del colore, della cifra lirica
nella composizione, le proprie interne motivazioni, i riscontri
emotivi di fronte alle vicende della cronaca e ai flussi della
storia. Proprio in questi ambiti l'artista, da sempre, va a reperire
i temi di una riflessione che traduce puntualmente nella pittura
e nella scultura. C’è nella sua ispirazione un filo
diretto che congiunge due polarità solo apparentemente
distanti, da una parte uno slancio deciso verso quei territori
della poesia dove lo spazio si dilata fino a diventare una dimensione
dell’infinito e il tempo si appiattisce in un eterno presente,
dall’altra la consapevolezza di una piena appartenenza alla
contemporaneità. Pertanto, fatti e questioni come l'incidente
a Bandini, il pilota scomparso tragicamente durante una gara automobilistica
agli inizi degli anni '70, il declino inesorabile di Venezia,
il tema della convivenza nella diversità etnica, linguistica
e religiosa, la pace nelle sue articolazioni possibili, sono soltanto
alcuni degli aspetti della realtà considerati dalla sua
analisi, caratterizzata da un problematismo positivo, indirizzato
verso approdi di soluzioni anche suggestive. E' una misura sostanziale
nel rapportarsi al contemporaneo anche quando lo scenario circostante
offre motivi di apprensione e di rifiuto; sensibile ai problemi
che attanagliano l'esistenza, da quelli sociali a quelli ambientali,
il nesso tra i tempi dell'uomo e quelli del progresso tecnologico,
l'inquietudine per le sorti del globo sospeso tra l'ansia di crescita
sfrenata e la paura dell'irrimediabile danno ambientale. La vocazione
di Dante Pisani, anima solitaria di una nuova figurazione che
ha radici profonde nella sua esperienza e nella sua attitudine
a spaziare dalla fisicità dell'esistente alla tenuità
della poesia, si distende con ricchezza e generosità di
risultati tra la superficie pittorica e lo spazio tridimensionale.
La scultura e il bronzetto soprattutto impegnano l'artista in
una sintesi plastica, dove il corpo è prodotto da un avvolgimento
intorno a un asse centrale, come di una presenza intabarrata in
un mantello; una sorta di torre babelica personificata nel simbolo
che l'individuo è un cumulo di sensazioni portate spesso
a convivere, ma altrettanto sovente a confliggere. Le creature
ottenute in gesso, oppure in bronzo, appaiono castelli arroccati
su un'altura di un mondo fantastico, dove scorre una vita svincolata
dai legami del tempo, in un ambito sconosciuto dell'esistenza;
qui si annida il mistero delle cose, indagato dai filosofi che,
animati dal sacro furore della scienza e della conoscenza, affidano
al pensiero il compito di ridurre la distanza tra l'uomo e la
realtà oggettiva. L'artista agglomera nel gesso il senso
di un paesaggio ridotto a un gioco di pieni e vuoti, rilievi sinuosi
in saliscendi di forme ruotanti attorno a un nucleo centrale;
come avvolti in una corazza, che li protegge dalla negatività
del quotidiano, alludono a un passo verso traiettorie ignote.
Personaggi metafisici, piantati in una sospensione figurale che
può richiamare a tratti il concetto di presenze ipertecnologiche,
quasi entità robotizzate, capaci di affermarsi per quanto
non mostrano più che per quello che appaiono. E' la medesima
aria enigmatica che avviluppa la figura di Golem, una scultura
in polistirolo che interpreta l'immagine di un automa frequentato
dalla cultura popolare dell'Europa orientale. Qui la riflessione
di Dante Pisani sembra toccare il centro di una questione intimamente
legata al rapporto tra le conquiste tecnologico-scientifiche e
le loro utilizzazioni nella vita pratica quotidiana. In tale prospettiva
si innesta la figura rassicurante della saggezza, quella in cui
scatto progressivo verso la crescita e coscienza etica si incontrano
in una sintesi auspicabile: si tratta degli stessi protagonisti
della serie dei "filosofi" in pittura, dove la figura-icona
ricorre con insistenza pur nell'estrema variabilità dei
tratti anatomici. Il piano dipinto di Pisani si sostanzia di materia
virtuale anche quando è assente il rilievo, gioca sull'allusività
corporea, mediante una serie di segni che si supportano vicendevolmente
in un progetto unitario di immagine che sosta sulla soglia di
riconoscibilità, qualche volta sconfinando nell'indistinto.
La presunta astrazione si rivela nella sua essenza primaria per
quel suo innestarsi nel magma cromatico in movimento, che l'artista
rende dinamico con una pennellata, capace di variare continuamente
ingredienti segnici e gestuali.
La recente fase della ricerca di Pisani si incentra sulla "criptopittura",
un ambito creativo dove la scrittura contiene e nasconde le evidenze
di una realtà evolutasi nella storia e nella cultura del
Mediterraneo. Il concetto di un cumulo informazioni affidate ad
alfabeti, capaci di trasmettere conoscenze da una generazione
all'altra, da un secolo all'altro, è reso sulla superficie
mediante una griglia costituita da testi antichi (in lettere cuneiformi,
geroglifiche, greche, aramaiche, ebraiche, arabe), che si attesta
sulla frontalità del quadro lasciando trapelare sullo sfondo
lineamenti figurali di paesaggi o di presenze umane in movimento;
queste simboleggiano il rapporto dell'uomo con l'ambiente, l'acquisizione
progressiva di competenze, la frequentazione di mestieri arcaici,
la realizzazione di manufatti che dalla categoria dell'utile passano
gradatamente a quella del bello. In tal modo il fascino delle
civiltà che hanno caratterizzato il bacino mediterraneo
si conferma e si esalta nella ricognizione di molteplici ambiti
geografico-politici, come alvei di scorrimento del pensiero filosofico
che ha trovato, in taluni determinati periodi, momenti di confronto,
di scontro, di fusione, di sintesi. I caratteri della scrittura
talora si caricano di materia, aggettando dal supporto in evidenza
plastica e creando un ulteriore movimento nel senso della profondità,
data dallo spessore delle lettere e dal colore, che combina con
la luce minime vibrazioni chiaroscurali. La componente grafica
non è subalterna e avulsa dal processo linguistico, non
è insomma un elemento gregario e di supporto dell'opera
ma una vera e propria essenza della pittura; una sorta di nervatura
primaria che accorpa in sé varie funzioni, da quella squisitamente
visiva a quella simbologica. Gli agglomerati di parole si espandono
sulla carta o sulla tela dando vita a universi immaginari, carichi
di implicazioni e suggestioni liriche.
Le sue diventano immagini da guardare e da leggere, sospingendo
il fruitore a ricominciare ogni volta da capo per trovare puntualmente
percorsi di attenzione diversi. Quando incontra la bellezza del
segno non vi indugia con compiaciuta volontà di fruizione,
ma traccia attorno e dentro la parola e i suoi significati una
rete di emozioni esplorative di tipo figurale. E la gamma di effetti
è ricchissima di formulazioni che vanno dalla stesura appena
percettibile, quasi un diaframma che invita l’osservatore
a entrare nella profondità della pittura, alla superficie
in rilievo, come una realtà rupestre in cui l’artista
incide la traccia del proprio pensiero rivolto al passato, seppur
proiettato verso il futuro. Dante Pisani ricorre alla scultura
e, soprattutto, alla pittura perché sono per lui due modi
diversi per esprimere quel mondo interiore, di fronte al quale
molto spesso sa porsi in ascolto. E’ una capacità
che gli consente da molti anni di essere un punto di riferimento
per diversi artisti che gli riconoscono (evento raro in soggetti
con forte marcatura d’individualità!) ricchezza umana,
onestà intellettuale e costante tensione di ricerca.
Enzo Santese
Fare ordine nell'assurdo
E' assai complicato afferrare il senso dell'arte
di Dante Pisani. All'apparenza sembra facile, specie osservando
il nitore delle forme plastiche di taluni strani corpi, rivestiti
da ben tese pellicole di tinte traslucide all'anilina, in accordi
armoniosi su toni bassi, per cui si sarebbe portati a collocarlo
in prossimità di un certo surrealismo veneto, diciamo alla
Minassian. Ma non appena da quei dipinti si passa ad altri dipinti,
Dante ci sfugge di mano. Beninteso, egli rimane sempre se stesso,
trincerato in un individualismo addirittura solipsistico, per
cui teme il pericolo di scambiare qualcosa nell'amicizia con i
colleghi o di imitare la grande arte (ha visitato due soli musei,
Revoltella e Pitti), ma, ciò malgrado, cambia spesso e
radicalmente il metodo di elaborazione degli spunti d'ispirazione,
sicché ne risultano sistemi ordinativi di volta in volta
del tutto diversi, benché imparentati con i precedenti
e preludenti i successivi. Le sue opere sono come sorprendenti
funghi che affiorano improvvisi e imprevisti dal suolo, ma che
sono collegati fra di loro per la comune origine da un unico apparato
radicale, che si estende in una rete sotterranea per l'estensione
di chilometri quadrati.
Riflettendo sulla sequenzialità delle opere e sulla consequenziale
derivazione delle opere dai giorni dell' uomo, prima che dell'
artista, mi è venuta in mente una saggia sentenza: "Ogni
vita, una storia". Questo è il titolo di una rubrica
di Radio Nuova Trieste. E' l'invenzione geniale del mio amico
Luigi Favotti, un chirurgo filantropo. Da un quarto di secolo
si fa raccontare, una dopo l'altra, le vicende di molti triestini,
annodate ad altre innumerevoli pagine, pagine che il conduttore,
appassionato cronista della città e scriba orale della
storia planetaria, annoda, da ammirevole direttore di quella radio.
Nel caso nostro, le pitture e le sculture di Dante Pisani dovrebbero
essere raccontate come cronografia di una successione di specchi
deformanti sui quali appaiono fantasie create dalla sua immaginazione
intorno alle vicende della propria vita e riflessi, in tono alquanto
apocalittico, della storia nostra, di noi giuliani, dalla Seconda
Grande Guerra ad oggi. Le imbricazioni con le quali Pisani copre
la realtà, ne avvolge le ferite e ne accentua le mostruosità,
appartengono a molte risorse della semantica, spesso combinando
figure diverse per ottenere l'apparato significante di una medesima
immagine: simboli, metafore, apologhi, parabole, allegorie...
Pisani è dell'avviso che noi siamo trascinati dalla corrente
di un fiume che portando a valle i relitti delle violenze naturali
e umane, diventa una marea di assurdità. Il suo costante
e forte intendimento è di rappresentare le assurdità
in una figurazione ordinata. E in ciò si affianca a una
grande romanziere triestino, Stelio Mattioni, purtroppo non apprezzato
quanto meriterebbe, forse perché nelle sue fantasie allucinate
c'è più verità che nell'apparente obiettività
degli storici. Amico mio e suo, Mattioni ha scritto su Pisani,
in spirito di fraterna e profonda concordanza, le pagine che potete
leggere in questo stesso libro.
Tenterò di riferire la storia della vita di Dante Pisani
rispettando la cronologia dei fatti dagli esordi. A tredici anni
si ammala di pleurite, rimane orfano di entrambi i genitori e,
durante sei mesi di convalescenza in un sanatorio a Duttogliano,
impara da solo a utilizzare l'attrezzatura completa da pittore
professionista che la nonna gli ha regalato (cassetta dei colori
e pennelli, cavalletto e tele) e dipinge, fra la stupefatta ammirazione
dai sanitari e dai compagni, quegli scenari dell'ambiente circostante
che bene risponde all'umore primaverile della ritrovata salute:
prati e coltivati sui pianori, boschetti in cima ai rialzi collinosi,
amene doline e pittoresche case coloniche.
Negli anni seguenti, vivendo in città, Pisani ha pur sempre
modo di ritrovare, ai margini della quotidianità urbana,
i luoghi della verità naturale, scorci nei borghi dell'architettura
spontanea oppure campagne e marine visitate nei momenti di operoso
riposo. Talvolta codesto incontro con le cose vicine al suo sentire
di muggesano, percepite, non senza sorpresa, nell'inquadratura
di un futuro dipinto, avviene per esigenze professionali in quelle
fiere della pittura vissuta e festeggiata popolarmente che furono
le ex tempore. Ed è uno stimolo giusto che attiva la sua
potente vena di colorista, sostenuta da un pullulare di accordi
vivaci, sempre felicemente azzeccati nelle gamme tonali, perché
sgorganti dalla sua indole istriana. Gli riesce facile l'interpretazione
fedele e sensibile degli ambienti ai quali si ispira: la pianura
scorciata in ventagli di terreno sulla Bassa friulana, il villaggio
di Conconello, sospeso a mezz'aria fra la città e le borgate
carsiche, il mare in tempesta di Salvore, quando il tempo si fa
presagio dei turbamenti dell'animo suo e nostro.
Il verismo è un test infallibile dell'atteggiamento sociale
dell'artista. Nella fattispecie Pisani ignora l'adeguamento prestazionale
alle banali richieste dei potenziali acquirenti impreparati all'arte
moderna, che vogliono paesaggi cartolineschi, ritratti edulcorati
e scene di miseria, a soddisfazione della loro recente ricchezza.
D'altro canto, Pisani non persegue la ricerca e la definizione
di una propria cifra individuale che sia originale – spesso
soltanto all'apparenza originale – per distinguersi dai
mille e mille pittori d'oggi, fra i quali molti astratti, che
si assiepano nelle innumerevoli tendenze dell'arte alla moda.
Malgrado il suo isolamento, Pisani assorbe fermenti innovativi
dalla cultura figurativa della sua età, particolarmente
agli inizi degli anni Sessanta. Nelle vedute, il piacere della
ricerca lo conduce a muovere liberamente i piani e altera il vero
per ritmare il ritmo di finestrature aperte sulla gioiosa trasparenza
dei colori, colori diffusi negli spessori che sottolineano la
profondità dello spazio. Vi è un lento e graduale
passaggio dall'appropriazione delle risorse paesaggistiche della
nostra regione fino a giungere alla pura astrazione.
Vien fuori anche una attitudine favolistica, e immagina animali
che realizzano istanti precisi della nostra vita, nei quali l'estro
del momento fa emergere il tratto essenziale del carattere. In
questo ambito, "Il gallo", del 1961, è l'indovinato
ritratto di un giovane dalla vitalità esuberante fino alla
prepotenza. "Il gallo" è la conclusione delle
ricerche formali nei siti di esplorazione del vero e di affinamento
dello strumentario pittorico. Ed è, al tempo stesso, l'inizio
della penetrazione nelle profondità sociologiche ed esistenziali
dell'animo umano. Il ritratto del 1966 è indicativo di
tale svolta, che lo porta a privilegiare nella figuralità
umana più le componenti caratteriali che i dati fisionomici.
Pisani vien così coltivando il suo temperamento individualista
e romantico, in virtù di una pittura illuminata da violenti
contrasti e permeata dal patetico di forti emozioni.
Approdo e sintesi della sua interpretazione della società
in cui vive è il ciclo del 1967, dedicato alla morte del
corridore automobilista Lorenzo Bandini. Ma per intenderne le
premesse, dobbiamo ritornare agli anni dell'adolescenza. Dante
ritorna più e più volte al Museo Revoltella, si
aggira fra i quadroni ottocenteschi e, invariabilmente, rimane
inchiodato davanti a "Gli affamati" di Geoffroy, acquistato
dal Curatorio nel 1866 (anni d'oro!) al Salon di Parigi. La scena,
degna di Victor Hugo, è incentrata sulla figura allampanata
di un vecchio mendicante, dominante gli altri barboni accalcantisi
alla distribuzione gratuita della minestra, mentre lancia un'occhiataccia
infastidita a due bambini cenciosi che si avvicinano alla misera
mensa. I sentimenti si inaspriscono quanto più crescono
l'alienazione, la competizione e l’abbrutimento: sarà
questo il tema della pittura sociale di Pisani.
Mi sia consentita una divagazione per far posto a un ricordo non
pertinente. Ai miei tempi il Palazzo Revoltella fungeva da sede
di rappresentanza del Municipio e i ricevimenti ivi allestiti,
con il massimo impegno, erano le uniche circostanze nelle quali
amministratori e dirigenti si dedicavano al nostro misero istituto.
Dopo gli sproloqui ufficiali nella Sala da Ballo, gli invitati
si precipitavano al rinfresco. Complici i miei amici uscieri,
piazzavamo la tavolata del buffet sotto "Les affamées",
ed era la nostra piccola vendetta.
Ritorno ora alla pittura sociale di Pisani e alle opere ispirate
dall'infortunio mortale occorso, il 10 maggio 1967, al pilota
di Formula Uno Lorenzo Bandini, sul circuito di Montecarlo. Di
Bandini si disse che era il corridore più amato dagli italiani,
perché, a differenza di molti colleghi suoi, impersonava
la figura del buon ragazzo, proveniente da famiglia povera, timido,
serio, mite, fedele alla moglie e austero al punto che lasciò
detto di non voler né lutti né drammatizzazioni
in caso di incidente. La sua vettura uscì di pista, urtò
una bitta, si incendiò. I soccorritori assistettero impotenti
al rogo per mancanza di estintori e Bandini morì dopo settanta
ore di agonia. Nella rappresentazione di Pisani, il pilota carbonizzato
è circondato, in un allucinante collage, dalle insegne
della gara, della Ferrari, di Montecarlo e dal numero assegnato
alla vittima sacrificale. L'artista aveva avuto una duplice illuminazione.
Prima intuizione: soltanto attraverso la morte ci si rivela il
senso della vita; seconda intuizione: al giorno d'oggi, nell'età
dell'ipocrisia e della falsità di molte partecipazioni
al cordoglio, soltanto l'estrema alienazione di colui che, per
emergere socialmente, getta la propria vita nell'esasperata competizione
spettacolare, garantisce l'autenticità della commozione
popolare. Bandini replica in versione industrializzata "Sangue
e arena" di Ibàñez.
In seguito Pisani provò di persona il morso crudele del
lutto, per la perdita della moglie. Rimase intontito nel suo dolore,
per un anno e mezzo, incapace di dipingere. Poi la vita riprese,
ma fu come se le cose e le persone gli riapparissero al di là
del filtro della morte. Escluse dai contenuti della sua arte i
moventi e i pretesti delle passioni ideologiche dominanti, perché
di queste rimanesse soltanto il guscio vuoto di un ricordo, concrezione
calcarea, bellissima e letale epidermide dell'organicità
interna che non c'è più. Scettico, disilluso, disincantato,
rimase pur sempre viva in lui la curiosità verso ciò
che sta succedendo nel mondo e persistette la tensione verso quel
rigore formale che egli pretende da se stesso nel rappresentarlo.
La svolta decisiva nella evoluzione di Pisani è data dal
trapasso fra due modi di rappresentazione: dapprima egli raffigura
ciò che esiste, dopo ciò che non può esistere.
Il secondo modo è altrettanto veristico quanto il primo,
appassionata giustificazione del suo operare al margine, nella
nicchia isolata che egli si è costruito, dopo aver constatato
l'irreparabile decadimento morale della società contemporanea,
involuzione che, accompagnata dalla sordità e dalla cecità
nel rifiutare la percezione di tutto ciò che non rientra
nell'utile, provoca, quale, conseguenza ultima, la desertificazione
urbana e la glaciazione sociale.
In tal senso, l'apologo più esplicito ce lo propone con
"Ibernazione". L'uomo è preso da una frenesia
di conservazione perenne delle sue cose e di se stesso. Perciò
nella vasca da bagno del suo appartamento in condominio realizza
lo zero assoluto e colà si immerge, alzato soltanto il
braccio, protesa soltanto la mano, nell'incerto, incompreso gesto
che invoca un ricupero del desiderio di vivere.
La deculturazione collettiva è la premessa del suicidio
emotivo individuale. In una delle sue ultime proposte narrative
ce ne dà la prova con un apologo che esemplifica una sorta
di capovolgimento geologico della normale stratificazione delle
attività socioculturali. Abbiamo uno spaccato in sezione
della parte inferiore di un edificio, con veduta verso l'esterno
urbano: in alto, nella parte "nobile", c'è il
piano del calpestio stradale, occupato da rozzi stivali che, con
passo pesante, cadenzano il percorso obbligato dell'utilitarismo;
in basso, nel sottosuolo, nelle cantine abbandonate, c'è
la biblioteca, depositi di una cultura sapienziale inutilizzata.
Il potere, che è frode e violenza, richiede il rovesciamento
dell'ordinamento intellettuale, per cui antepone la prassi immediata
alla progettazione concettuale.
Un poco per volta, Pisani abbandona l'Uomo del presente al suo
destino e s'interessa ad una sorta di evoluzione darwiniana di
tutte le specie in sintonia con le modificazioni planetarie della
natura terrestre. Le questioni inerenti al linguaggio pittorico
diventano funzionali ad una sorta di trascrizione figurata di
tale evoluzione. La meditazione sul passato gli fa scoprire singolari
coincidenze di tempi e di luoghi, per cui un poco alla volta egli
va riscontrando strane affinità fra gli animali asserviti
alle sorti previste nelle fiabe e le piante parassitarie soggiacenti
alle vicende dell'albero che le nutre. Sono armonie fortuite originate
nella temperie esistenziale successiva all'esaurirsi della lotta
per affermarsi. Il tutto, visto dal di fuori, può sembrare
lo scenario di un film di fantascienza che evoca arbitrariamente
le ere geologiche primitive.
Ma entrando all'interno, e partecipando al movente principale
della sua fantasia, la pittura di Dante Pisani profila una sorta
di saga dell'evoluzione di un cosmo permeato da un animismo universale,
che nasce alla fin fine dalla sua coscienza inquieta. Lo sguardo
sognante dell'artista ricerca nelle cose da lui fantasticate il
riflesso del suo pensiero, attestazione di quanto di permanente
egli è riuscito a definire nella continua, confusa, sconvolgente
metamorfosi della realtà. Si spinge sempre più nell'intimo
di sé e delle cose, fino ad attingere quel liquido amniotico
che forse sgorga dalle Madri goethiane e che colora di presagi
la sua individuale costellazione astrologica. Nei suoi intendimenti,
oltre alla trasformazione incessante delle cose e delle creature,
il suo pensiero dovrebbe avere la forza di ricomporre le figure
del caos in un apologo morale, azione terapeutica indirizzata
al fine di liberarci dagli inganni e dalle ansie che il mondo
ci riversa addosso.
E' una cronaca delle sorti ormai compiute. Se vogliamo trovare
le ultime tracce di vita, dobbiamo sezionare i fossili e in quelli
scorgeremmo i resti degli ultimi viventi, creature ibridate fra
il vegetale e l'animale, irrigiditi per sempre, simili agli insetti
imprigionati nelle colature della resinosa ambra, puniti per l'
eccessiva irrequietezza e rapidità dei movimenti, vizi
che la spietata sapienza della natura ha cristallizzato nella
fissità di un ricordo plastico, unica memoria di quella
fase evolutiva.
Il mondo nuovo, mondo impersonale, tecnologico, alienato, concede
persino spazi confortevoli, purché nella rarefatta astrattezza
architettonica di quei luoghi sia assente l'uomo. Sono oasi rasserenanti,
golfi di tranquillità idilliaca, insenature nelle quali
la corrente dell'immaginazione produttiva gira su se stessa e
innalza pareti di textures e trasparenti cristalli per edificare
l'inesistente, volumi di luce del tutto estranei agli abituali
contenuti del linguaggio pittorico tradizionali che li genera.
Ma persino quello scenario estatico viene turbato, inquinato,
rotto dal bisogno di movimento e di trasformazione, bisogno che
l'uomo soddisfa immettendo il dinamismo della macchina nell'equilibrata
quiete. Questo è forse il momento più alto nella
parabola di Pisani. L'artista è anche plasticatore e, quando
è necessario, fa rientrare le sue sculture nella pittura,
le utilizza come soggetti della rappresentazione. La plastica
dipinta ha in sé il senso dell'evento incombente, ed è
costituita dalla spietata movimentazione degli ingranaggi, in
opposizione alla purezza astratta di grandi lastre traslucide,
che alludono a una incompiuta architettura spazialista. L'algore
della geometria virtuale dell'universo rende inane la tragica
crudeltà dell'ingegneria umana, macinazione di ruote dentate.
Molti artisti – e Dante Pisani è fra di loro –
coltivano l'ambizione di sintetizzare in un'opera – "Il
Giudizio Universale" di Michelangelo! – tutto ciò
che in passato avevano pensato e raffigurato sulle cose del mondo.
Ora vi parlerò dell'opera di Pisani, che a me sembra conclusiva
del suo lungo cammino di ricerca. Ma per introdurvi a quest'opera
debbo richiamare il famoso film di Stanley Kubrick "2001
Odissea nello spazio". All'inizio un monolite precipita fra
le scimmie e avvia il progresso, secondo la concezione nietzscheana
della ciclicità nella legge dell'eterno ritorno. Alla fine,
il cosmonauta, superstite della strage operata sui suoi compagni
di viaggio dal computer di bordo, per il cattivo uso della tecnologia,
rinasce nel feto di un novello Adamo.
Ora voi dovete supporre che su quel monolite siano rilevati, nelle
lettere di una scrittura arcana, tutti i segni dell'umano sapere
e altresì il DNA che guida le trasformazioni dell'universo
durante tutto un ciclo dell'evoluzione cosmica. E' un testo compresso
in poco spazio, come sa fare un buon programma del computer. Questo
è l'approdo a cui giunge Pisani alla fine delle sue metamorfosi.
Le esperienze della pittura e della scultura confluiscono su una
grande lastra. Un'opera che tenta di abbracciare ciò che
fu e ciò che sarà, archeologo e al tempo stesso
profeta di un mondo nel quale l'umanità è sempre
sospesa al rischio di venir mummificata in feticcio.
Infatti a far compagnia al monolite, dimenticata Tavola della
Legge, non vi sono le scimmiette di Kubrick, malgrado tutto creature
allegre e simpatiche, ammiccanti e bercianti fra di loro con quei
gestucci che destano ilarità, ma vi è soltanto la
statua del Nano Mostruoso, il dio ultimo dell'umana idolatria,
irrigidito nella propria eterna immobilità e insignificanza.
L'idolo è opera di mano d'uomo e di esso nelle Sacre Scritture
è detto: "Ha bocca e non parla, ha occhi e non vede;
ha orecchie e non ode; ha naso e non odora; ha mani e non tocca;
ha piedi e non cammina; ha gola e non rende suono". (Sal
115,4-9; Sal 135,15; Ab 2, 18-20).
Se voi mettete il Nano Mostruoso davanti alla Tavola della Legge,
dal loro muto dialogo ottenete un environnement, scena emblematica
del comporsi dei prodotti del lavoro umano, quando, secondo Marx,
li si consideri a prescindere dal valore d'uso, per cui assumono
l'aspetto di merce. Scrive Marx nel Libro Primo del Capitale,
a proposito del carattere di feticcio della merce e del suo arcano:
"A prima vista, una merce sembra una cosa triviale, ovvia.
Ma dalla sua analisi, risulta che è una cosa imbrogliatissima,
piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici. Il carattere
enigmatico si manifesta quando il prodotto di lavoro assume la
forma di merce. Tale forma rimanda agli uomini come uno specchio
i caratteri sociali del proprio lavoro, trasformati in caratteri
oggettivi dei prodotti di quel lavoro – ossia proprietà
sociali naturali di quelle cose - e rispecchia quindi anche il
rapporto sociale fra produttori e lavoro complessivo, come un
rapporto sociale di oggetti, avente esistenza al di fuori dei
prodotti stessi. Agli uomini sembra di vedere una forma fantasmagorica
nel rapporto fra le cose. Ed è soltanto il rapporto sociale
determinato fra gli uomini stessi".
Vi ho parlato con passione di queste cose, perché seguo
il suo operare da quasi mezzo secolo. Ma in realtà l'avevo
conosciuto già prima di incontrarlo, per una serie di strane
coicidenze che mi avevano portato a ripercorrere, a un anno di
distanza, le sue stesse esperienze: quattro mesi di letto con
la pleurite, quattro mesi di sanatorio a Duttogliano, fino a trovarci
insieme nella Guardia Civica. In seguito Pisani ha operato nelle
forze dell'ordine. Ma a ripensarci bene, tanto mio affaccendarmi
nella direzione del Museo Revoltella e nelle attività connesse
riguardanti le mostre, la cronaca d'arte, l'arte con il computer,
l'urbanistica e soprattutto il concorso e il convegno sull'educazione
artistica promossi dal Comune di Muggia, che fu l'iniziativa più
felice della mia vita, riconosco che tutto ciò altro non
fu altro se non un timido e sfortunato "rappel à l'ordre".
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