DANTE PISANI
L'artista, l'arte, l'uomo


L'inquietudine del presente nell'opera pittorica e scultorea di Dante Pisani.
Un intellettuale che ripensa continuamente al proprio itinerario esistenziale e umano dimostra anche la vivacità del suo stare nel mondo, a contatto con gli accadimenti dell'attualità; Dante Pisani è consapevole di ciò, soprattutto quando, nel silenzio del suo studio al centro di Trieste, può dominare con lo sguardo gran parte della città, oppure ritrarsi in una condizione di assoluto distacco per dare forma alle sue idee sul piano o nello spazio. Dalla mostra personale del 1959 presso la Sala Comunale d'Arte di Muggia (la città dove è nato nel 1924) fino ad oggi ha dimostrato, con i fatti probanti di una ricerca rigorosa e sentita, come una personalità, colta e attenta di fronte alle seduzioni del mondo e ai suggerimenti del panorama artistico italiano e internazionale, possa mantenersi incontaminata da suggestioni e ripiegarsi unicamente in se stessa per esaltare col potere del segno, del colore, della cifra lirica nella composizione, le proprie interne motivazioni, i riscontri emotivi di fronte alle vicende della cronaca e ai flussi della storia. Proprio in questi ambiti l'artista, da sempre, va a reperire i temi di una riflessione che traduce puntualmente nella pittura e nella scultura. C’è nella sua ispirazione un filo diretto che congiunge due polarità solo apparentemente distanti, da una parte uno slancio deciso verso quei territori della poesia dove lo spazio si dilata fino a diventare una dimensione dell’infinito e il tempo si appiattisce in un eterno presente, dall’altra la consapevolezza di una piena appartenenza alla contemporaneità. Pertanto, fatti e questioni come l'incidente a Bandini, il pilota scomparso tragicamente durante una gara automobilistica agli inizi degli anni '70, il declino inesorabile di Venezia, il tema della convivenza nella diversità etnica, linguistica e religiosa, la pace nelle sue articolazioni possibili, sono soltanto alcuni degli aspetti della realtà considerati dalla sua analisi, caratterizzata da un problematismo positivo, indirizzato verso approdi di soluzioni anche suggestive. E' una misura sostanziale nel rapportarsi al contemporaneo anche quando lo scenario circostante offre motivi di apprensione e di rifiuto; sensibile ai problemi che attanagliano l'esistenza, da quelli sociali a quelli ambientali, il nesso tra i tempi dell'uomo e quelli del progresso tecnologico, l'inquietudine per le sorti del globo sospeso tra l'ansia di crescita sfrenata e la paura dell'irrimediabile danno ambientale. La vocazione di Dante Pisani, anima solitaria di una nuova figurazione che ha radici profonde nella sua esperienza e nella sua attitudine a spaziare dalla fisicità dell'esistente alla tenuità della poesia, si distende con ricchezza e generosità di risultati tra la superficie pittorica e lo spazio tridimensionale. La scultura e il bronzetto soprattutto impegnano l'artista in una sintesi plastica, dove il corpo è prodotto da un avvolgimento intorno a un asse centrale, come di una presenza intabarrata in un mantello; una sorta di torre babelica personificata nel simbolo che l'individuo è un cumulo di sensazioni portate spesso a convivere, ma altrettanto sovente a confliggere. Le creature ottenute in gesso, oppure in bronzo, appaiono castelli arroccati su un'altura di un mondo fantastico, dove scorre una vita svincolata dai legami del tempo, in un ambito sconosciuto dell'esistenza; qui si annida il mistero delle cose, indagato dai filosofi che, animati dal sacro furore della scienza e della conoscenza, affidano al pensiero il compito di ridurre la distanza tra l'uomo e la realtà oggettiva. L'artista agglomera nel gesso il senso di un paesaggio ridotto a un gioco di pieni e vuoti, rilievi sinuosi in saliscendi di forme ruotanti attorno a un nucleo centrale; come avvolti in una corazza, che li protegge dalla negatività del quotidiano, alludono a un passo verso traiettorie ignote. Personaggi metafisici, piantati in una sospensione figurale che può richiamare a tratti il concetto di presenze ipertecnologiche, quasi entità robotizzate, capaci di affermarsi per quanto non mostrano più che per quello che appaiono. E' la medesima aria enigmatica che avviluppa la figura di Golem, una scultura in polistirolo che interpreta l'immagine di un automa frequentato dalla cultura popolare dell'Europa orientale. Qui la riflessione di Dante Pisani sembra toccare il centro di una questione intimamente legata al rapporto tra le conquiste tecnologico-scientifiche e le loro utilizzazioni nella vita pratica quotidiana. In tale prospettiva si innesta la figura rassicurante della saggezza, quella in cui scatto progressivo verso la crescita e coscienza etica si incontrano in una sintesi auspicabile: si tratta degli stessi protagonisti della serie dei "filosofi" in pittura, dove la figura-icona ricorre con insistenza pur nell'estrema variabilità dei tratti anatomici. Il piano dipinto di Pisani si sostanzia di materia virtuale anche quando è assente il rilievo, gioca sull'allusività corporea, mediante una serie di segni che si supportano vicendevolmente in un progetto unitario di immagine che sosta sulla soglia di riconoscibilità, qualche volta sconfinando nell'indistinto. La presunta astrazione si rivela nella sua essenza primaria per quel suo innestarsi nel magma cromatico in movimento, che l'artista rende dinamico con una pennellata, capace di variare continuamente ingredienti segnici e gestuali.
La recente fase della ricerca di Pisani si incentra sulla "criptopittura", un ambito creativo dove la scrittura contiene e nasconde le evidenze di una realtà evolutasi nella storia e nella cultura del Mediterraneo. Il concetto di un cumulo informazioni affidate ad alfabeti, capaci di trasmettere conoscenze da una generazione all'altra, da un secolo all'altro, è reso sulla superficie mediante una griglia costituita da testi antichi (in lettere cuneiformi, geroglifiche, greche, aramaiche, ebraiche, arabe), che si attesta sulla frontalità del quadro lasciando trapelare sullo sfondo lineamenti figurali di paesaggi o di presenze umane in movimento; queste simboleggiano il rapporto dell'uomo con l'ambiente, l'acquisizione progressiva di competenze, la frequentazione di mestieri arcaici, la realizzazione di manufatti che dalla categoria dell'utile passano gradatamente a quella del bello. In tal modo il fascino delle civiltà che hanno caratterizzato il bacino mediterraneo si conferma e si esalta nella ricognizione di molteplici ambiti geografico-politici, come alvei di scorrimento del pensiero filosofico che ha trovato, in taluni determinati periodi, momenti di confronto, di scontro, di fusione, di sintesi. I caratteri della scrittura talora si caricano di materia, aggettando dal supporto in evidenza plastica e creando un ulteriore movimento nel senso della profondità, data dallo spessore delle lettere e dal colore, che combina con la luce minime vibrazioni chiaroscurali. La componente grafica non è subalterna e avulsa dal processo linguistico, non è insomma un elemento gregario e di supporto dell'opera ma una vera e propria essenza della pittura; una sorta di nervatura primaria che accorpa in sé varie funzioni, da quella squisitamente visiva a quella simbologica. Gli agglomerati di parole si espandono sulla carta o sulla tela dando vita a universi immaginari, carichi di implicazioni e suggestioni liriche.
Le sue diventano immagini da guardare e da leggere, sospingendo il fruitore a ricominciare ogni volta da capo per trovare puntualmente percorsi di attenzione diversi. Quando incontra la bellezza del segno non vi indugia con compiaciuta volontà di fruizione, ma traccia attorno e dentro la parola e i suoi significati una rete di emozioni esplorative di tipo figurale. E la gamma di effetti è ricchissima di formulazioni che vanno dalla stesura appena percettibile, quasi un diaframma che invita l’osservatore a entrare nella profondità della pittura, alla superficie in rilievo, come una realtà rupestre in cui l’artista incide la traccia del proprio pensiero rivolto al passato, seppur proiettato verso il futuro. Dante Pisani ricorre alla scultura e, soprattutto, alla pittura perché sono per lui due modi diversi per esprimere quel mondo interiore, di fronte al quale molto spesso sa porsi in ascolto. E’ una capacità che gli consente da molti anni di essere un punto di riferimento per diversi artisti che gli riconoscono (evento raro in soggetti con forte marcatura d’individualità!) ricchezza umana, onestà intellettuale e costante tensione di ricerca.

Enzo Santese

Fare ordine nell'assurdo

E' assai complicato afferrare il senso dell'arte di Dante Pisani. All'apparenza sembra facile, specie osservando il nitore delle forme plastiche di taluni strani corpi, rivestiti da ben tese pellicole di tinte traslucide all'anilina, in accordi armoniosi su toni bassi, per cui si sarebbe portati a collocarlo in prossimità di un certo surrealismo veneto, diciamo alla Minassian. Ma non appena da quei dipinti si passa ad altri dipinti, Dante ci sfugge di mano. Beninteso, egli rimane sempre se stesso, trincerato in un individualismo addirittura solipsistico, per cui teme il pericolo di scambiare qualcosa nell'amicizia con i colleghi o di imitare la grande arte (ha visitato due soli musei, Revoltella e Pitti), ma, ciò malgrado, cambia spesso e radicalmente il metodo di elaborazione degli spunti d'ispirazione, sicché ne risultano sistemi ordinativi di volta in volta del tutto diversi, benché imparentati con i precedenti e preludenti i successivi. Le sue opere sono come sorprendenti funghi che affiorano improvvisi e imprevisti dal suolo, ma che sono collegati fra di loro per la comune origine da un unico apparato radicale, che si estende in una rete sotterranea per l'estensione di chilometri quadrati.
Riflettendo sulla sequenzialità delle opere e sulla consequenziale derivazione delle opere dai giorni dell' uomo, prima che dell' artista, mi è venuta in mente una saggia sentenza: "Ogni vita, una storia". Questo è il titolo di una rubrica di Radio Nuova Trieste. E' l'invenzione geniale del mio amico Luigi Favotti, un chirurgo filantropo. Da un quarto di secolo si fa raccontare, una dopo l'altra, le vicende di molti triestini, annodate ad altre innumerevoli pagine, pagine che il conduttore, appassionato cronista della città e scriba orale della storia planetaria, annoda, da ammirevole direttore di quella radio.
Nel caso nostro, le pitture e le sculture di Dante Pisani dovrebbero essere raccontate come cronografia di una successione di specchi deformanti sui quali appaiono fantasie create dalla sua immaginazione intorno alle vicende della propria vita e riflessi, in tono alquanto apocalittico, della storia nostra, di noi giuliani, dalla Seconda Grande Guerra ad oggi. Le imbricazioni con le quali Pisani copre la realtà, ne avvolge le ferite e ne accentua le mostruosità, appartengono a molte risorse della semantica, spesso combinando figure diverse per ottenere l'apparato significante di una medesima immagine: simboli, metafore, apologhi, parabole, allegorie... Pisani è dell'avviso che noi siamo trascinati dalla corrente di un fiume che portando a valle i relitti delle violenze naturali e umane, diventa una marea di assurdità. Il suo costante e forte intendimento è di rappresentare le assurdità in una figurazione ordinata. E in ciò si affianca a una grande romanziere triestino, Stelio Mattioni, purtroppo non apprezzato quanto meriterebbe, forse perché nelle sue fantasie allucinate c'è più verità che nell'apparente obiettività degli storici. Amico mio e suo, Mattioni ha scritto su Pisani, in spirito di fraterna e profonda concordanza, le pagine che potete leggere in questo stesso libro.
Tenterò di riferire la storia della vita di Dante Pisani rispettando la cronologia dei fatti dagli esordi. A tredici anni si ammala di pleurite, rimane orfano di entrambi i genitori e, durante sei mesi di convalescenza in un sanatorio a Duttogliano, impara da solo a utilizzare l'attrezzatura completa da pittore professionista che la nonna gli ha regalato (cassetta dei colori e pennelli, cavalletto e tele) e dipinge, fra la stupefatta ammirazione dai sanitari e dai compagni, quegli scenari dell'ambiente circostante che bene risponde all'umore primaverile della ritrovata salute: prati e coltivati sui pianori, boschetti in cima ai rialzi collinosi, amene doline e pittoresche case coloniche.
Negli anni seguenti, vivendo in città, Pisani ha pur sempre modo di ritrovare, ai margini della quotidianità urbana, i luoghi della verità naturale, scorci nei borghi dell'architettura spontanea oppure campagne e marine visitate nei momenti di operoso riposo. Talvolta codesto incontro con le cose vicine al suo sentire di muggesano, percepite, non senza sorpresa, nell'inquadratura di un futuro dipinto, avviene per esigenze professionali in quelle fiere della pittura vissuta e festeggiata popolarmente che furono le ex tempore. Ed è uno stimolo giusto che attiva la sua potente vena di colorista, sostenuta da un pullulare di accordi vivaci, sempre felicemente azzeccati nelle gamme tonali, perché sgorganti dalla sua indole istriana. Gli riesce facile l'interpretazione fedele e sensibile degli ambienti ai quali si ispira: la pianura scorciata in ventagli di terreno sulla Bassa friulana, il villaggio di Conconello, sospeso a mezz'aria fra la città e le borgate carsiche, il mare in tempesta di Salvore, quando il tempo si fa presagio dei turbamenti dell'animo suo e nostro.
Il verismo è un test infallibile dell'atteggiamento sociale dell'artista. Nella fattispecie Pisani ignora l'adeguamento prestazionale alle banali richieste dei potenziali acquirenti impreparati all'arte moderna, che vogliono paesaggi cartolineschi, ritratti edulcorati e scene di miseria, a soddisfazione della loro recente ricchezza. D'altro canto, Pisani non persegue la ricerca e la definizione di una propria cifra individuale che sia originale – spesso soltanto all'apparenza originale – per distinguersi dai mille e mille pittori d'oggi, fra i quali molti astratti, che si assiepano nelle innumerevoli tendenze dell'arte alla moda.
Malgrado il suo isolamento, Pisani assorbe fermenti innovativi dalla cultura figurativa della sua età, particolarmente agli inizi degli anni Sessanta. Nelle vedute, il piacere della ricerca lo conduce a muovere liberamente i piani e altera il vero per ritmare il ritmo di finestrature aperte sulla gioiosa trasparenza dei colori, colori diffusi negli spessori che sottolineano la profondità dello spazio. Vi è un lento e graduale passaggio dall'appropriazione delle risorse paesaggistiche della nostra regione fino a giungere alla pura astrazione.
Vien fuori anche una attitudine favolistica, e immagina animali che realizzano istanti precisi della nostra vita, nei quali l'estro del momento fa emergere il tratto essenziale del carattere. In questo ambito, "Il gallo", del 1961, è l'indovinato ritratto di un giovane dalla vitalità esuberante fino alla prepotenza. "Il gallo" è la conclusione delle ricerche formali nei siti di esplorazione del vero e di affinamento dello strumentario pittorico. Ed è, al tempo stesso, l'inizio della penetrazione nelle profondità sociologiche ed esistenziali dell'animo umano. Il ritratto del 1966 è indicativo di tale svolta, che lo porta a privilegiare nella figuralità umana più le componenti caratteriali che i dati fisionomici. Pisani vien così coltivando il suo temperamento individualista e romantico, in virtù di una pittura illuminata da violenti contrasti e permeata dal patetico di forti emozioni.
Approdo e sintesi della sua interpretazione della società in cui vive è il ciclo del 1967, dedicato alla morte del corridore automobilista Lorenzo Bandini. Ma per intenderne le premesse, dobbiamo ritornare agli anni dell'adolescenza. Dante ritorna più e più volte al Museo Revoltella, si aggira fra i quadroni ottocenteschi e, invariabilmente, rimane inchiodato davanti a "Gli affamati" di Geoffroy, acquistato dal Curatorio nel 1866 (anni d'oro!) al Salon di Parigi. La scena, degna di Victor Hugo, è incentrata sulla figura allampanata di un vecchio mendicante, dominante gli altri barboni accalcantisi alla distribuzione gratuita della minestra, mentre lancia un'occhiataccia infastidita a due bambini cenciosi che si avvicinano alla misera mensa. I sentimenti si inaspriscono quanto più crescono l'alienazione, la competizione e l’abbrutimento: sarà questo il tema della pittura sociale di Pisani.
Mi sia consentita una divagazione per far posto a un ricordo non pertinente. Ai miei tempi il Palazzo Revoltella fungeva da sede di rappresentanza del Municipio e i ricevimenti ivi allestiti, con il massimo impegno, erano le uniche circostanze nelle quali amministratori e dirigenti si dedicavano al nostro misero istituto. Dopo gli sproloqui ufficiali nella Sala da Ballo, gli invitati si precipitavano al rinfresco. Complici i miei amici uscieri, piazzavamo la tavolata del buffet sotto "Les affamées", ed era la nostra piccola vendetta.
Ritorno ora alla pittura sociale di Pisani e alle opere ispirate dall'infortunio mortale occorso, il 10 maggio 1967, al pilota di Formula Uno Lorenzo Bandini, sul circuito di Montecarlo. Di Bandini si disse che era il corridore più amato dagli italiani, perché, a differenza di molti colleghi suoi, impersonava la figura del buon ragazzo, proveniente da famiglia povera, timido, serio, mite, fedele alla moglie e austero al punto che lasciò detto di non voler né lutti né drammatizzazioni in caso di incidente. La sua vettura uscì di pista, urtò una bitta, si incendiò. I soccorritori assistettero impotenti al rogo per mancanza di estintori e Bandini morì dopo settanta ore di agonia. Nella rappresentazione di Pisani, il pilota carbonizzato è circondato, in un allucinante collage, dalle insegne della gara, della Ferrari, di Montecarlo e dal numero assegnato alla vittima sacrificale. L'artista aveva avuto una duplice illuminazione. Prima intuizione: soltanto attraverso la morte ci si rivela il senso della vita; seconda intuizione: al giorno d'oggi, nell'età dell'ipocrisia e della falsità di molte partecipazioni al cordoglio, soltanto l'estrema alienazione di colui che, per emergere socialmente, getta la propria vita nell'esasperata competizione spettacolare, garantisce l'autenticità della commozione popolare. Bandini replica in versione industrializzata "Sangue e arena" di Ibàñez.
In seguito Pisani provò di persona il morso crudele del lutto, per la perdita della moglie. Rimase intontito nel suo dolore, per un anno e mezzo, incapace di dipingere. Poi la vita riprese, ma fu come se le cose e le persone gli riapparissero al di là del filtro della morte. Escluse dai contenuti della sua arte i moventi e i pretesti delle passioni ideologiche dominanti, perché di queste rimanesse soltanto il guscio vuoto di un ricordo, concrezione calcarea, bellissima e letale epidermide dell'organicità interna che non c'è più. Scettico, disilluso, disincantato, rimase pur sempre viva in lui la curiosità verso ciò che sta succedendo nel mondo e persistette la tensione verso quel rigore formale che egli pretende da se stesso nel rappresentarlo.
La svolta decisiva nella evoluzione di Pisani è data dal trapasso fra due modi di rappresentazione: dapprima egli raffigura ciò che esiste, dopo ciò che non può esistere. Il secondo modo è altrettanto veristico quanto il primo, appassionata giustificazione del suo operare al margine, nella nicchia isolata che egli si è costruito, dopo aver constatato l'irreparabile decadimento morale della società contemporanea, involuzione che, accompagnata dalla sordità e dalla cecità nel rifiutare la percezione di tutto ciò che non rientra nell'utile, provoca, quale, conseguenza ultima, la desertificazione urbana e la glaciazione sociale.
In tal senso, l'apologo più esplicito ce lo propone con "Ibernazione". L'uomo è preso da una frenesia di conservazione perenne delle sue cose e di se stesso. Perciò nella vasca da bagno del suo appartamento in condominio realizza lo zero assoluto e colà si immerge, alzato soltanto il braccio, protesa soltanto la mano, nell'incerto, incompreso gesto che invoca un ricupero del desiderio di vivere.
La deculturazione collettiva è la premessa del suicidio emotivo individuale. In una delle sue ultime proposte narrative ce ne dà la prova con un apologo che esemplifica una sorta di capovolgimento geologico della normale stratificazione delle attività socioculturali. Abbiamo uno spaccato in sezione della parte inferiore di un edificio, con veduta verso l'esterno urbano: in alto, nella parte "nobile", c'è il piano del calpestio stradale, occupato da rozzi stivali che, con passo pesante, cadenzano il percorso obbligato dell'utilitarismo; in basso, nel sottosuolo, nelle cantine abbandonate, c'è la biblioteca, depositi di una cultura sapienziale inutilizzata. Il potere, che è frode e violenza, richiede il rovesciamento dell'ordinamento intellettuale, per cui antepone la prassi immediata alla progettazione concettuale.
Un poco per volta, Pisani abbandona l'Uomo del presente al suo destino e s'interessa ad una sorta di evoluzione darwiniana di tutte le specie in sintonia con le modificazioni planetarie della natura terrestre. Le questioni inerenti al linguaggio pittorico diventano funzionali ad una sorta di trascrizione figurata di tale evoluzione. La meditazione sul passato gli fa scoprire singolari coincidenze di tempi e di luoghi, per cui un poco alla volta egli va riscontrando strane affinità fra gli animali asserviti alle sorti previste nelle fiabe e le piante parassitarie soggiacenti alle vicende dell'albero che le nutre. Sono armonie fortuite originate nella temperie esistenziale successiva all'esaurirsi della lotta per affermarsi. Il tutto, visto dal di fuori, può sembrare lo scenario di un film di fantascienza che evoca arbitrariamente le ere geologiche primitive.
Ma entrando all'interno, e partecipando al movente principale della sua fantasia, la pittura di Dante Pisani profila una sorta di saga dell'evoluzione di un cosmo permeato da un animismo universale, che nasce alla fin fine dalla sua coscienza inquieta. Lo sguardo sognante dell'artista ricerca nelle cose da lui fantasticate il riflesso del suo pensiero, attestazione di quanto di permanente egli è riuscito a definire nella continua, confusa, sconvolgente metamorfosi della realtà. Si spinge sempre più nell'intimo di sé e delle cose, fino ad attingere quel liquido amniotico che forse sgorga dalle Madri goethiane e che colora di presagi la sua individuale costellazione astrologica. Nei suoi intendimenti, oltre alla trasformazione incessante delle cose e delle creature, il suo pensiero dovrebbe avere la forza di ricomporre le figure del caos in un apologo morale, azione terapeutica indirizzata al fine di liberarci dagli inganni e dalle ansie che il mondo ci riversa addosso.
E' una cronaca delle sorti ormai compiute. Se vogliamo trovare le ultime tracce di vita, dobbiamo sezionare i fossili e in quelli scorgeremmo i resti degli ultimi viventi, creature ibridate fra il vegetale e l'animale, irrigiditi per sempre, simili agli insetti imprigionati nelle colature della resinosa ambra, puniti per l' eccessiva irrequietezza e rapidità dei movimenti, vizi che la spietata sapienza della natura ha cristallizzato nella fissità di un ricordo plastico, unica memoria di quella fase evolutiva.
Il mondo nuovo, mondo impersonale, tecnologico, alienato, concede persino spazi confortevoli, purché nella rarefatta astrattezza architettonica di quei luoghi sia assente l'uomo. Sono oasi rasserenanti, golfi di tranquillità idilliaca, insenature nelle quali la corrente dell'immaginazione produttiva gira su se stessa e innalza pareti di textures e trasparenti cristalli per edificare l'inesistente, volumi di luce del tutto estranei agli abituali contenuti del linguaggio pittorico tradizionali che li genera.
Ma persino quello scenario estatico viene turbato, inquinato, rotto dal bisogno di movimento e di trasformazione, bisogno che l'uomo soddisfa immettendo il dinamismo della macchina nell'equilibrata quiete. Questo è forse il momento più alto nella parabola di Pisani. L'artista è anche plasticatore e, quando è necessario, fa rientrare le sue sculture nella pittura, le utilizza come soggetti della rappresentazione. La plastica dipinta ha in sé il senso dell'evento incombente, ed è costituita dalla spietata movimentazione degli ingranaggi, in opposizione alla purezza astratta di grandi lastre traslucide, che alludono a una incompiuta architettura spazialista. L'algore della geometria virtuale dell'universo rende inane la tragica crudeltà dell'ingegneria umana, macinazione di ruote dentate.
Molti artisti – e Dante Pisani è fra di loro – coltivano l'ambizione di sintetizzare in un'opera – "Il Giudizio Universale" di Michelangelo! – tutto ciò che in passato avevano pensato e raffigurato sulle cose del mondo. Ora vi parlerò dell'opera di Pisani, che a me sembra conclusiva del suo lungo cammino di ricerca. Ma per introdurvi a quest'opera debbo richiamare il famoso film di Stanley Kubrick "2001 Odissea nello spazio". All'inizio un monolite precipita fra le scimmie e avvia il progresso, secondo la concezione nietzscheana della ciclicità nella legge dell'eterno ritorno. Alla fine, il cosmonauta, superstite della strage operata sui suoi compagni di viaggio dal computer di bordo, per il cattivo uso della tecnologia, rinasce nel feto di un novello Adamo.
Ora voi dovete supporre che su quel monolite siano rilevati, nelle lettere di una scrittura arcana, tutti i segni dell'umano sapere e altresì il DNA che guida le trasformazioni dell'universo durante tutto un ciclo dell'evoluzione cosmica. E' un testo compresso in poco spazio, come sa fare un buon programma del computer. Questo è l'approdo a cui giunge Pisani alla fine delle sue metamorfosi. Le esperienze della pittura e della scultura confluiscono su una grande lastra. Un'opera che tenta di abbracciare ciò che fu e ciò che sarà, archeologo e al tempo stesso profeta di un mondo nel quale l'umanità è sempre sospesa al rischio di venir mummificata in feticcio.
Infatti a far compagnia al monolite, dimenticata Tavola della Legge, non vi sono le scimmiette di Kubrick, malgrado tutto creature allegre e simpatiche, ammiccanti e bercianti fra di loro con quei gestucci che destano ilarità, ma vi è soltanto la statua del Nano Mostruoso, il dio ultimo dell'umana idolatria, irrigidito nella propria eterna immobilità e insignificanza. L'idolo è opera di mano d'uomo e di esso nelle Sacre Scritture è detto: "Ha bocca e non parla, ha occhi e non vede; ha orecchie e non ode; ha naso e non odora; ha mani e non tocca; ha piedi e non cammina; ha gola e non rende suono". (Sal 115,4-9; Sal 135,15; Ab 2, 18-20).
Se voi mettete il Nano Mostruoso davanti alla Tavola della Legge, dal loro muto dialogo ottenete un environnement, scena emblematica del comporsi dei prodotti del lavoro umano, quando, secondo Marx, li si consideri a prescindere dal valore d'uso, per cui assumono l'aspetto di merce. Scrive Marx nel Libro Primo del Capitale, a proposito del carattere di feticcio della merce e del suo arcano: "A prima vista, una merce sembra una cosa triviale, ovvia. Ma dalla sua analisi, risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici. Il carattere enigmatico si manifesta quando il prodotto di lavoro assume la forma di merce. Tale forma rimanda agli uomini come uno specchio i caratteri sociali del proprio lavoro, trasformati in caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro – ossia proprietà sociali naturali di quelle cose - e rispecchia quindi anche il rapporto sociale fra produttori e lavoro complessivo, come un rapporto sociale di oggetti, avente esistenza al di fuori dei prodotti stessi. Agli uomini sembra di vedere una forma fantasmagorica nel rapporto fra le cose. Ed è soltanto il rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi".
Vi ho parlato con passione di queste cose, perché seguo il suo operare da quasi mezzo secolo. Ma in realtà l'avevo conosciuto già prima di incontrarlo, per una serie di strane coicidenze che mi avevano portato a ripercorrere, a un anno di distanza, le sue stesse esperienze: quattro mesi di letto con la pleurite, quattro mesi di sanatorio a Duttogliano, fino a trovarci insieme nella Guardia Civica. In seguito Pisani ha operato nelle forze dell'ordine. Ma a ripensarci bene, tanto mio affaccendarmi nella direzione del Museo Revoltella e nelle attività connesse riguardanti le mostre, la cronaca d'arte, l'arte con il computer, l'urbanistica e soprattutto il concorso e il convegno sull'educazione artistica promossi dal Comune di Muggia, che fu l'iniziativa più felice della mia vita, riconosco che tutto ciò altro non fu altro se non un timido e sfortunato "rappel à l'ordre".